
Il gip di Milano ordina l’imputazione coatta per gli insulti a sfondo nazista contro Liliana Segre sui social, riconoscendoli come gravi diffamazioni che violano la memoria storica e superano i limiti della libertà di espressione. - Immaginario.tv
L’ordinanza del gip di Milano segna un passo importante nel caso degli insulti levati contro Liliana Segre sui social. L’accusa nei confronti di diversi utenti coinvolti riguarda offese gravissime con riferimenti al nazismo nei confronti di una superstite dei campi di sterminio. Il procedimento coinvolge decine di messaggi diffamatori, mentre una parte degli indagati è stata archiviata o ancora non identificata. Ecco cosa accade nel caso giudiziario che richiama l’attenzione sul confine tra libertà di espressione e tutela della memoria storica.
L’accusa di nazismo come diffamazione grave secondo il gip di milano
Secondo il giudice per le indagini preliminari, per chi ha rivolto accuse di nazismo a Liliana Segre, testimone diretta della Shoah, non si può parlare di una semplice offesa o critica. Il gip Alberto Carboni definisce quell’accusa uno «sfregio alla verità oggettiva» e la «più infamante delle offese» per chi si è speso nella testimonianza degli orrori del regime. L’elemento che preme alla magistratura è la consapevolezza degli autori dei messaggi, che hanno usato riferimenti e immagini come quella del kapò per colpire deliberatamente la reputazione della senatrice a vita, sfruttando la dimensione personale e storica della sua esperienza.
Ogni messaggio o commento che accosta la senatrice al nazismo è quindi interpretato come un attacco diffamatorio, anche quando si presenta in toni ironici o all’apparenza indiretti. Il giudice ritiene che certi insulti non si configurano come opinioni politiche o critiche ammissibili in un contesto democratico, ma come denigrazioni che violano la memoria storica e la dignità della vittima. Questo pone un confine netto rispetto alla libertà d’espressione.
Perché il gip ha respinto la richiesta di archiviazione da parte della procura
Il fascicolo riguarda 246 messaggi apparsi sul web a partire dal dicembre 2022, subito dopo i quali Liliana Segre ha presentato 27 querele. Per il pubblico ministero, la parola nazista sarebbe stata usata in senso metaforico o diverso da quello storico, ma il gip non ha condiviso questa interpretazione.
Nel suo provvedimento, il giudice evidenzia come queste espressioni siano ben più che una semplice dichiarazione di pensiero: associazioni al nazismo non argomentate, battute o immagini legate a episodi di violenza nei lager sono inserite sapientemente per ferire l’onore e strumentalizzare la storia personale di Segre. L’effetto è tanto più grave perché gli autori conoscevano esattamente il valore offensivo delle loro parole proprio in relazione al trascorso della senatrice. Non si tratta di critiche opinabili, ma di umiliazioni rivolte a un simbolo di memoria e testimonianza dell’Olocausto.
Questa motivazione spiega la decisione di rigettare l’archiviazione, dando così il via a un iter giudiziario che porterà ad approfondimenti evidenti sul trattamento di tali insulti online.
Cosa significa l’imputazione coatta nel procedimento penale in corso
L’ordinanza di imputazione coatta arriva quando il gip non ritiene fondati i motivi per archiviare il caso, pur non essendo ancora un rinvio a giudizio vero e proprio. Nel sistema penale italiano, questo atto obbliga la procura già coinvolta a presentare formale richiesta di rinvio a giudizio per gli indagati coinvolti nel procedimento.
Dopo l’imputazione coatta, un nuovo giudice dell’udienza preliminare prende in mano il caso e decide se mandare gli accusati a processo o meno. Pur non essendo da considerarsi una condanna, l’imputazione coatta indica che il giudice ha riconosciuto elementi concreti per proseguire e approfondire le verifiche. Nella maggior parte dei casi, questa fase comporta l’apertura formale del processo.
Nel contesto specifico degli insulti a Liliana Segre, questa decisione consente di mantenere aperto il dibattito giudiziario sul rispetto della memoria storica e sulle modalità con cui si può esercitare la libertà di parola senza superare certi limiti. Al momento, restano sotto indagine diversi utenti, mentre per qualcuno come Chef Rubio è già arrivata l’archiviazione. Nuove indagini proseguono inoltre per identificare i tanti account anonimi o non rintracciati.
L’attenzione rimane alta sull’equilibrio tra tutela delle vittime della Shoah e rispetto di diritti fondamentali, sotto gli occhi della società italiana e della magistratura.