Condannato all’ergastolo l’uomo che ha ucciso la moglie davanti ai figli nonostante il braccialetto elettronico
Nel settembre 2024 a Torino, Abdelkader Ben Alaya ha ucciso la moglie Roua Nabi nonostante i braccialetti elettronici di controllo spenti, evidenziando gravi lacune nella tutela delle vittime di violenza domestica.

Nel settembre 2024 a Torino, Abdelkader Ben Alaya ha ucciso la moglie Roua Nabi davanti ai figli nonostante fossero in vigore misure di protezione con braccialetti elettronici, evidenziando gravi falle nel sistema di tutela delle vittime di violenza domestica. - Immaginario.tv
Nel settembre 2024, a Torino, Abdelkader Ben Alaya ha ucciso la moglie Roua Nabi davanti ai loro due figli. Il fatto ha riacceso il dibattito sull’efficacia delle misure di protezione per le vittime di violenza domestica, soprattutto quando sono in uso dispositivi elettronici di controllo come i braccialetti. La sentenza di ergastolo è arrivata dopo un processo che ha evidenziato gravi lacune nell’intervento delle forze dell’ordine e nella tutela della donna.
Il contesto del delitto e le misure cautelari in vigore
Abdelkader Ben Alaya, 48 anni, era già noto alla giustizia per maltrattamenti nei confronti della moglie e dei figli. Due mesi prima del delitto, aveva ricevuto l’obbligo di non avvicinarsi a Roua Nabi, misura applicata tramite un braccialetto elettronico. Nonostante ciò, l’uomo è rimasto in contatto con la vittima, che condivideva ancora la stessa abitazione. I figli erano presenti al momento dell’omicidio, denunciando una situazione familiare già assai tesa e pericolosa.
Le indagini hanno mostrato che il braccialetto elettronico destinato a controllare gli spostamenti dell’uomo non ha funzionato come previsto. Le autorità non hanno ricevuto alcun allarme in tempo reale durante la tragedia, nonostante il dispositivo sarebbe dovuto scattare automaticamente. Gli investigatori hanno evidenziato che la batteria del braccialetto era scarica e dunque non ha potuto inviare segnali di emergenza. Lo stesso valeva per il braccialetto applicato a Roua Nabi, che non era stato ricaricato né da lei né dal marito.
La requisitoria del pm Cesare Parodi e le dinamiche del caso
Il pubblico ministero Cesare Parodi ha ripercorso tutti i passaggi dell’indagine nel corso della requisitoria. Ha sottolineato come il braccialetto elettronico, simile a un telefono cellulare, necessiti di una carica costante per attivare gli allarmi. Nel caso specifico, entrambi i dispositivi erano spenti per mancanza di ricarica. Secondo Parodi, questo dettaglio ha impedito alle forze dell’ordine di ricevere segnali utili per intervenire tempestivamente.
Parodi ha inoltre evidenziato che non si può escludere che la vittima stessa abbia scelto – consapevolmente o meno – di non tenere attivo il sistema di protezione elettronico. Se il braccialetto di Roua Nabi fosse stato carico, sarebbe stato possibile bloccare fisicamente l’avvicinamento dell’imputato e mandarlo in carcere in automatico. Questo punto ha intensificato il dibattito sulle responsabilità nella tutela delle vittime di violenza domestica.
Le ragioni del divieto alle riprese in aula e il ruolo dei figli minori
Durante il processo, il pm si è opposto alla registrazione delle udienze, una richiesta che ha visto il sostegno anche della difesa di Abdelkader e di parte civile, rappresentata dagli interessi dei figli minori. La corte ha motivato il divieto con la necessità di tutelare la privacy dei due bambini non presenti in aula.
L’ordinanza ha inoltre evidenziato che non sussisteva un interesse sociale preminente a giustificare le riprese audiovisive. La decisione ha sollevato qualche dibattito tra gli osservatori, considerando che una maggiore trasparenza avrebbe potuto chiarire i dettagli tecnici sul funzionamento dei braccialetti elettronici e l’eventuale responsabilità delle forze dell’ordine.
Le testimonianze che denunciano il fallimento della tutela statale
L’avvocata Stefania Agagliate, rappresentante di Roua Nabi, ha messo in luce le numerose richieste di aiuto della donna negli anni precedenti al delitto. Nei due anni prima dell’omicidio, la vittima si era rivolta più volte a centri antiviolenza e operatori sociali, denunciando la violenza del marito e chiedendo protezione. Tutte queste denunce sono raccolte nell’atto del processo.
L’avvocata ha sottolineato l’assenza di interventi decisivi, che avrebbero potuto fermare la spirale di violenze crescenti. Nella notte del femminicidio, il braccialetto elettronico aveva emesso due allarmi, ma nessuna forza dell’ordine è intervenuta tempestivamente per fermare Ben Alaya. L’episodio ha reso evidente una falla nel sistema di tutela delle vittime, oggi nuovamente sotto l’occhio del pubblico.
La testimonianza dello scenario dell’omicidio e la sentenza
Nel ricostruire l’omicidio davanti alla corte, il pm Parodi ha descritto un quadro netto e senza dubbi. Ha definito il fatto un omicidio. Le motivazioni addotte dall’imputato appaiono, secondo il pm, sproporzionate e inquietanti.
L’accusa ha quindi richiesto la condanna all’ergastolo. La sentenza conferma questa richiesta, confermando la gravità del comportamento di Abdelkader Ben Alaya e la necessità di una pena definitiva. I fatti di Torino evidenziano le difficoltà e i rischi nella gestione di casi di violenza domestica nonostante l’uso di strumenti tecnologici di controllo. L’attenzione resta alta sulla protezione delle vittime e sull’azione delle istituzioni coinvolte.